Il Consiglio dei Ministri presieduto da Giorgia Meloni ha approvato il DEF: ecco cosa prevede il documento licenziato dal Governo
Per qualcuno, una approvazione che premia i ricchi e penalizza i più deboli. Ma per il Governo, ovviamente, un insieme di misure volte a risollevare le sorti economiche del Paese. Cosa c’è veramente all’interno del Documento di economia e finanza (DEF) appena approvato dall’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni?
Proprio sotto la presidenza di Giorgia Meloni, presente vista l’importanza della seduta, il Governo ha infatti approvato il DEF nel corso dell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri. Un documento approvato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. Come è noto, il DEF è previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).
Sono, in particolare, tre le direttrici lungo le quali il Governo Meloni intende muoversi in tema di politica economica: la rinuncia graduale ad alcune misure straordinarie di politica fiscale, che si sono rese necessarie negli scorsi tre anni, anche a causa della pandemia da Covid-19. Questo, in particolare, è uno dei temi su cui l’opposizione incalza di più, sostenendo che, di fatto, il Governo di centrodestra stia disarticolando il welfare italiano.
Ma il Governo intende ridurre, in misura graduale, ma continua, il deficit e del debito della pubblica amministrazione in rapporto al prodotto interno lordo (PIL). Il Governo conferma gli obiettivi di indebitamento netto in rapporto al PIL già dichiarati a novembre nel Documento Programmatico di Bilancio (DPB), ossia 4,5 per cento quest’anno, 3,7 per cento nel 2024 e 3,0 per cento nel 2025. L’obiettivo per il 2026 viene posto pari al 2,5 per cento.
Infine, come terza direttiva, così come sostenuto anche dallo stesso ministro Giorgetti, il sostegno alla ripresa dell’economia italiana, favorendo la capitalizzazione delle imprese.
Secondo le stime del Governo, il PIL dovrebbe crescere dello 0,9% nel 2023 – dato rivisto al rialzo in confronto al Documento programmatico di bilancio (DPB) di novembre, in cui la crescita del 2023 era cifrata in uno 0,6 per cento – e quindi all’1,4 per cento nel 2024, all’1,3 per cento nel 2025 e all’1,1 per cento nel 2026.
Vi sarà, in particolare, un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi per quest’anno. Detto in termini più comprensibili: un taglio del cuneo fiscale di oltre tre miliardi che, negli intendimenti del Governo, dovrebbe sostenere e rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie. Come sappiamo, il cuneo fiscale è un indicatore degli effetti della tassazione sul reddito dei lavoratori, l’occupazione e il mercato del lavoro.
Quindi, di fatto, si provvede a un abbassamento delle tasse. La pressione fiscale dovrebbe passare dal 43,3% nel 2023 al 42,7% entro il 2026. Non solo, tale provvedimento, per il Governo, contribuirà alla moderazione della crescita salariale. Anche in questo caso, detto in termini più comprensibile: all’aumento degli stipendi.
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