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Lifestyle

Tumore al pancreas, una malattia che fa ancora paura: ecco la terapia che dà speranza ai malati

Sentire parlare di tumore al pancreas fa ancora paura, nonostante i progressi fatti dalla ricerca scientifica negli ultimi anni. Il lavoro dei medici non si ferma e ha portato alla luce una terapia che potrebbe essere davvero rivoluzionaria.

La medicina ha fatto passi da gigante negli ultimi tempi e ha permesso che malattie che fino a qualche anno fa non lo erano diventassero curabili, specialmente se diagnosticate quando sono solo agli inizi. È per questo che fare prevenzione e sottoporsi a controlli periodici (nel caso delle donne fondamentali visita ginecologica e mammografia, lo stesso dovrebbero fare gli uomini con l’urologo) resta davvero fondamentale. Pur senza diventare ipocondriaci, sarebbe altrettanto importante non sottovalutare eventuali malesseri e rivolgersi a un medico di fiducia. Nonostante questo, c’è un problema che continua a fare paura ogni volta che se ne sente parlare: il tumore al pancreas.

Il tumore al pancreas fa ancora paura – Foto | Canva

Il tumore al pancreas continua a fare paura

Gianluca Vialli e Fedez sono solo gli ultimi due casi noti di personaggi famosi che hanno scoperto di essere affetti da tumore al pancreas, ma almeno per ora con esiti differenti. L’ex attaccante, infatti, ha ricevuto la diagnesi ben cinque anni fa, ma recentemente ha deciso di lasciare la Nazionale, dove lavora in supporto di Roberto Mancini, per sottoporsi a nuove cure e risulta ora ricoverato a Londra. Il cantante, invece, si è sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza in primavera, che si è rivelato però decisivo e che gli ha permesso di dover fare altre cure.

Entrambi sono quindi consapevoli di cosa significhi questo tipo di cancro ed è per questo che il giudice di “X Factor” non ha mancato di mandare un messaggio di incoraggiamento all’ex attaccante non appena si è saputo del peggioramento delle sue condizioni.

Le cause del problema risultano essere però ancora sconosciute, nonostante gli studi scientifici non si siano mai fermati. In genere colpisce soprattutto le persone tra i 50 e gli 80 anni, ma non sono esclusi, come abbiamo visto, casi tra persone più giovani. Sono però i numeri quelli che fanno ancora paura: i tassi di sopravvivenza a un anno e a cinque anni dalla diagnosi sono pari rispettivamente al 27% e al 6% circa.

La scoperta che dà speranza

I sintomi tipici del tumore al pancreas spesso possono essere legati ad altre malattie, per questo in caso di disturbi sarebbe bene consultare un medico e capire se sia consigliabile approfondire con analisi specifiche. In genere possono fare pensare a questo tipo di cancro sono dolore in genere ai quadranti addominali del dorso, nausea, mancanza di appetito e perdita di peso, comparsa di diabete e ittero (colorito giallo della cute e delle sclere).

Le speranze per chi riceve la diagnosi sembrano ora crescere grazie un tipo di terapia che si è rivelata efficace secondo quanto confermato da un gruppo di ricercatori dell’MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas. Gli studiosi hanno effettuato una combinazione con l’immunoterapia mirata al checkpoint delle cellule T e alle cellule mieloidi soppressori.

Il supporto del medico per un malato è fondamentale – Foto | Canva

In un primo tempo si è deciso di agire sul microambiente del tumore, per poi proseguire utilizzando i profili immunologici in uomini e topi affetti dal cancro. L’idea alla base era quella di capire come mai in molti pazienti il tumore resisteva all’immunoterapia. A quel punto si è scoperto quanto il livello di sopravvivenza fosse aumentato.

Il lavoro ha permesso ai medici anche di capire perché siano ancora poche le persone che riescono a sopravvivere al cancro al pancreas. Questo si verifica non solo perché viene individuato quando si è ormai diffuso nell’organismo, ma anche perché risulta “non immunogenico”, quindi non in grado di rispondere ad alcuni inibitori.

Si è così arrivati a inibire tre diverse proteine, 41BB, LAG3 e CXCR2: questa operazione ha comportato a una regressione completa della malattia in oltre il 90% dei casi. Numeri che non possono che fare ben sperare e che spingono a continuare l’analisi alla ricerca di ulteriori risposte.

Ilaria Macchi

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