Talento cristallino, da numero 10 dell’Olimpo del calcio. Ma anche un vero e proprio antidivo, con valori che sono merce rara nel calcio
Andrebbe messo alla voce dell’enciclopedia “Il Calcio”. Roberto Baggio è uno dei più grandi campioni della storia del calcio. Non solo italiano, ma mondiale. Probabilmente paragonabile ai più grandi di sempre. Il suo carattere schivo lo ha sempre fatto rimanere ai margini delle cronache extracalcistiche.
Nato a Caldogno il 18 febbraio del 1967, ha giocato per Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna e Brescia, dove ha terminato la sua grande carriera nel 2004. Talento cristallino, da numero 10 dell’Olimpo del calcio. La sua esplosione nella Fiorentina, ma, soprattutto, ai Mondiali di Italia ’90, dove fece sognare il Paese con le “Notti magiche”, che, però, finirono con terzo posto. La più lunga permanenza, nella Juventus. Ma una seconda giovinezza vissuta nel Brescia insieme al grande Carletto Mazzone.
Pur non avendo mai vinto la classifica dei marcatori, è il settimo realizzatore del campionato di Serie A con 205 gol. Prolifico anche in nazionale, con 27 reti in 56 partite, è quarto tra i migliori realizzatori in maglia azzurra, a pari merito con Alessandro Del Piero. Inoltre, con nove gol realizzati nei Mondiali, è il miglior marcatore italiano nella competizione iridata (a pari merito con Paolo Rossi e Christian Vieri), nonché l’unico ad avere segnato in tre diverse edizioni
Uno dei pochi calciatori italiani a vincere il “Pallone d’oro”, anche grazie allo straordinario mondiale di USA ’94, dove trascinò praticamente da solo l’Italia in finale contro il Brasile. La sua carriera, però, è anche legata al rigore calciato alto e sbagliato nella sequenza che decretò la vittoria del Mondiale da parte dei verdeoro. La sua immagine sconsolata sul bollente prato di Pasadena è storia del calcio.
La lezione di Roberto Baggio
Da quella grande delusione, però, seppe riprendersi. Con la calma di sempre. Di religione buddista e antidivo, Baggio da sempre nutre una passione sfrenata per la caccia. Dopo la fine della sua carriera, non ha intrapreso alcuna carriera, né da allenatore, né da dirigente, né da commentatore sportivo. Si è rifugiato nella sua terra, con i suoi affetti e le sue passioni.
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Un vero e proprio antidivo, capace di trasmettere valori che oggi nel calcio sono merce rara. “Non mi sono mai sentito diverso. Non mai pensato che ero più bravo di mio fratello o di un compagno di squadra”. Una filosofia di vita nata anche alla luce della travagliata carriera avuta: “Per via degli infortuni ho sempre vissuto sul filo del rasoio, non sapevo mai quanto potevo durare. I pensieri che avevo erano quelli di allenarmi per essere nella condizione migliore e arrivare a domenica”.